I rischi del passato

L’integrazione europea garanzia della democrazia liberale

Drammaticamente consapevole della fragilità istituzionale italiana, il Pri ha puntato più di chiunque altro sull’integrazione europea, iniziando a prefigurarla nel secolo scorso quando addirittura appariva un miraggio. Ora che, nonostante i tanti passi compiuti ci si sta convincendo di una debolezza tale da impedire il compimento di questa integrazione, ecco che il nostro Paese si troverebbe nuovamente di fronte alla sua sola fragilità istituzionale, negli ultimi vent’anni ancor più compromessa. Non solo si vuole una riforma estesa della costituzione che ancora non è stata definita in maniera esauriente e non lo sarà nemmeno nei prossimi mesi, ma il partito di maggioranza relativa del Paese, che ha l’onere del governo e delle riforme, si trova, come si è visto ieri nella assemblea nazionale, diviso all’interno e, peggio ancora, duramente contestato nelle piazze dal suo stesso sindacato di riferimento. Il nostro sistema da acefalo che era è divenuto bipolare maggioritario, e la principale forza di opposizione si sta liquefacendo, mentre le forze in crescita, la Lega, e per quel che può Grillo, non hanno nessuna visione europeista e a volte nemmeno nazionale dei problemi. Prima ancora che l’Unione europea entri in crisi, l’Italia potrebbe implodere drammaticamente al suo interno, regredendo a dei livelli che paragonabili alla sola situazione pre unitaria, compiendo un balzo indietro di 150 anni abbondanti. Non è un caso se la Lega ha trovato un riferimento in Francia nei nazionalisti di Le Pen, i quali hanno avuto simpatia per l’Italia solo nella sua veste di Repubblica Cisalpina, mentre a Grillo piace Farage, un simpatico personaggio che si augura di vedere l’intero continente oltre Manica inghiottito dall’abisso. Per queste ragioni è molto difficile contestare il governo anche quando sembra essere diventato il portavoce della Commissione di Bruxelles. Siamo sempre d’accordo sul chiedere alla Ue di modificare politiche troppo restrittive, ma vorremmo evitare di infrangere gli accordi stipulati per non facilitare la dissoluzione di un tessuto davvero logoro. La tela europea non è costituita dalle politiche monetarie di rigore, al contrario, queste già in passato, quando troppo applicate severamente hanno causato danni enormi. La tela europea, quella che si è cercata di tessere almeno dal secondo dopo guerra in avanti, è quella della democrazia e dei diritti civili che non vorremmo vedere strappati, causa scelte economiche sbagliate. Si tratta di un rischio reale, di cui ci stiamo rendendo conto rapidamente in questi mesi all’indomani della crisi ucraina, senza che l’Unione fosse capace di una valutazione adeguata al problema sollevato. Quasi soddisfatta di infliggere un colpo alla Russia non ci si è nemmeno chiesto quale fosse l’humus dell’europeismo di Kiev e la sua compatibilità con la nostra cultura liberale. Nello stesso tempo, la determinazione di Putin, la sua fierezza nel reagire alle difficoltà e persino la sfrontatezza delle risposte ha guadagnato consenso in ambienti insospettabili, proprio per il solo spontaneo paragone fra il carismatico leader russo e i bigi e grigi leader europei. Anche questo è già successo: un momento tragico della storia in cui l’autoritarismo affascinò i popoli molto più di quanto potessero farlo i confusi regimi repubblicani. Quando le istituzioni democratiche barcollano, non ci sono limiti al peggio.

Roma, 15 dicembre 2014